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Soluzione e assoluzione: i surgelati e il senso di colpa. Una gelida autobiografia nazionale

Ti ricordi quand’eri bambino? C’era il frigo più grande di te. Chissà se era un Indesit, come recitava una vecchia pubblicità. Era tuttavia molto probabile che il suo freezer fosse pieno di surgelati. 

Col tempo, gli inquilini dei nostri congelatori – una costante della nostra spesa – sono cambiati seguendo le evoluzioni della società italiana e la loro comunicazione si è trasformata in una fredda autobiografia nazionale. 

Per anni i surgelati sono stati impacchettati con dosi generose di senso di colpa. 
La mamma italiana, sempre più lavoratrice e meno massaia full-time, dagli anni Settanta in poi aveva il problema di coniugare famiglia e lavoro. Spettava a lei cucinare, anche se non aveva tempo, perché doveva lavorare di giorno in ufficio, in fabbrica o chissà dove e al contempo doveva fare il secondo lavoro: provvedere al benessere familiare facendo la spesa, cucinando e occupandosi delle faccende di casa, giacché i mariti, in quanto maschi, non si abbassavano a fare lavori “da donna”. 

I surgelati risolvevano il problema: con prodotti compatti e lunga scadenza, in pochi minuti garantivano ricette verosimili, facili e veloci da cucinare. La soluzione perfetta per chi di fatto faceva il doppio lavoro.

Ecco la colpa, un po’ connaturata nell’educazione delle donne italiane di allora e un po’ ribadita da mezze parole di madri, suocere o altre madri non lavoratrici: solo una madre snaturata, che si è messa in testa questa bizzarra idea moderna di non fare la casalinga e, orrore, andare a lavorare, non si sveglia all’alba per badare alla famiglia, sfornare il pane, fare la sfoglia, lavare e stirare i panni di tutti e, in ultimo (classica immagine delle pubblicità anni Ottanta) sistemare – pur indossando i guanti da cucina – il nodo alla cravatta del marito, che esce per andare al lavoro. 

Il surgelato, nell’Italia post-rurale, insomma, era un peccato. 
Per la precisione un peccato di lesa maternità e muliebrità. Già fai questa cosa inaudita di andare a lavorare, rinunciando al tuo ruolo naturale di angelo del focolare, e in più pensi di nutrire i tuoi figli e il tuo povero marito con questi intrugli moderni, che chissà cosa c’è dentro? Come in un incubo dickensiano, le notti delle ex casalinghe italiane devono essere state una continua interruzione minacciosa da parte dei fantasmi delle suocere passate.

Per i pubblicitari era uno scenario da sogno: un paese educato ad amare mamme e nonne incatenate in cucina si confrontava con la colpa del cibo pronto da cuocere. Cibo colpevole, cibo “strano”, cibo non-naturale, cibo preconfezionato. Il male, per l’Italia profonda.  

Bastava comunicare due cose, che suonano quasi uguali: la soluzione dei problemi culinari delle madri “emancipate” e l’assoluzione dalla colpa di ricorrere ai surgelati o alle altre “meal solution”, cioè piatti pronti in scatola, in busta, sotto vuoto o, più di recente, in atmosfera protetta.

L’assoluzione arrivava con diversi artifici gastro-retorici. 
Il più noto era la grande bugia secondo cui i surgelati sono buoni come i piatti veri, quelli cucinati dalle vere madri, quelle seppellite in un cimitero di lavatrici e fornelli. 

C’è uno storico spot della Knorr che è l’emblema di questa strada per l’assoluzione della donna lavoratrice che ricorre alle meal solution: classica cucina anni Ottanta, madre che cucina il risotto ai funghi, ma presenta in tavola due zuppiere. Una contiene un risotto “vero”, l’altra un risotto Knorr, di quelli liofilizzati, fatti con le buste. La famiglia assaggia entrambi i prodotti e dichiara felice, assolvendo la madre, che “non c’è differenza tra risotto e risotto!”. Chi vuol la verità deve toccare. 

L’altra grande giravolta verbale parla direttamente alle mancate casalinghe, regalando loro un “tocco magico”, che rende unico anche un surgelato preparato in 5 minuti, stanca, la sera: “i surgelati sono tutti uguali, ma solo tu sai renderli speciali”. 
Gli americani avevano inventato uno slogan per dare un’anima al cibo standardizzato e industriale: “The secret ingredient is love”. Puoi offrire alla tua famiglia la peggiore tra le meal solution, ma l’amore che metti nel solo fatto di prenderti cura della famiglia renderà tutto più buono. 

Ha funzionato talmente tanto, come slogan, che tuttora sono in vendita grembiuli, quadri, ricami, ecc. che riportano questa frase paraculissima e quindi di sicuro successo pubblicitario.

Sulla stessa linea, in Italia tra gli anni Ottanta e Novanta era raro trovare un prodotto surgelato che non riportasse sulla confezione i consigli per personalizzarlo: un po’ di fontina nel risotto ai funghi oppure una sventagliata di prezzemolo tritato ed ecco il tuo tocco magico che rende unico il risotto o chissà cosa. 
Perfino i biscotti del Mulino Bianco per un po’ di anni hanno riportato sulla confezione la ricetta per farsi in casa i Tarallucci, le Macine, ecc. Cosa tecnicamente controproducente, per la Barilla (ti vendo i biscotti, perché dovrei incoraggiarti a farli in casa?), ma in verità funzionale a dare l’ennesima assoluzione alle madri che, invece che sfornare morbide ciambelle e torte margherita per la colazione genuina dei propri pargoli, ricorrevano ai biscotti industriali. Tra l’altro le ricette per farsi i biscotti in casa erano problematiche, lunghissime, difficili da eseguire e i biscotti casalinghi del Mulino Bianco venivano male e duri come sassi: il migliore argomento a favore dell’acquisto del prodotto già pronto, edibile, buono. 


Bastava poco, insomma, per riprodurre il trittico valoriale nazionale: furbizia, colpa, autoassoluzione.

La società, col tempo, è cambiata. Le donne continuano in gran parte a fare il doppio lavoro, ma almeno non c’è più nessuno che le fa sentire in colpa per questo. Anzi, persa la colpa iniziale, i surgelati si sono evoluti, perdendo progressivamente il ruolo di brutte copie del cibo fresco. 


Negli uffici ricerca e sviluppo prodotto, intanto, ci si è accorti che “surgelato” non era più un attributo tecnico, ma una vera e propria categoria di prodotto. Il surgelato ontologicamente autonomo ha icone note a tutti: il bastoncino di merluzzo impanato e il Sofficino, prodotti che non hanno una corrispondenza stretta nell’ambito del cibo “reale”.

Il neo-cibo che viene dal freezer, adorato dai bambini, rischiava di esserlo meno dalle mamme. Urgeva rassicurarle: è tutta roba naturale, non fa male. 
Per i bastoncini di merluzzo garantiva un signore in divisa che pescava il pesce nei freddi mari del Nord. Era capitan Findus, testimonial fittizio dai mille volti, presente e vivo e titolare a lungo di una linea di prodotto. 
Per i Sofficini, dall’aspetto alieno, niente meglio che un testimonial di fantasia: Carletto, un camaleonte che esprimeva allegria e spensieratezza in famiglia. 

Sorry, era estate e in agenzia ci stavamo annoiando. Perversione aggiuntiva: la pallina riproduce l’immagine di Carletto e si illumina se la lanci.

La società cambia ancora e i surgelati si adeguano. Anzi, restano sempre gli stessi, ma muta il target di riferimento. 
La crisi del modello familiare classico produce famiglie atipiche in cui le competenze in cucina latitano, ma l’attenzione al bello è alta? Ecco che, con anni d’anticipo sul gastro-fighettismo, gli anni Novanta ci portano i surgelati cool in cui la fanno da padrone zuppe naturali e dietetiche o prodotti gastronomici, il cui ruolo non è più quello di sostitutivi di un pasto, ma di soluzioni golose, sfiziose per titillare il palato. 

Nasce addirittura una linea di prodotti specifici nelle cui pubblicità compaiono giovani artistoidi, modelli sexy alla caccia di seppie, hipster in bicicletta. Il tutto con un’adeguata colonna sonora a base di trip hop e altre raffinatezze sonore. 

Con gli anni la concorrenza si fa sentire: il surgelato non è più l’unica alternativa al cibo fresco nel campo delle meal solution. Nella grande distribuzione aumenta l’offerta di cibo cucinato in giornata e di piatti pronti in ambiente protetto. 

Fate un giro al supermercato e troverete, rispetto al passato, meno meal solution surgelate e sempre più ingredienti surgelati non trattati. Lentamente i surgelati stanno diventando una commodity: si comprano sempre più i fagiolini già cimati e pronti da cuocere, i pisellini primavera fuori dal baccello o i carciofi già puliti, non il risotto ai frutti di mare.

E se si cucina un piatto pronto surgelato, meglio che sia un’occasione straordinaria. Ecco perché una pubblicità dei Quattro Salti (per ragioni oscure le parole “in padella” sono state messe a margine) dei primi anni Duemila faceva un ironico appello, quasi anni Cinquanta nel suo conclamato sessismo, a inesistenti massaie, vantando la straordinaria bontà delle sue ricette non comuni. 

Con l’arrivo della crisi c’è da chiedersi cosa sarà dei surgelati nostrani, in un contesto in cui la spesa alimentare costa sempre più e la convenienza economica, oltre che ecologica, del cibo non elaborato e a filiera corta diventa sempre più evidente 

Credo non sia un caso che le principali aziende del settore tornino in tv con spot che sottolineano un ritorno alla natura. 
È quello che succede – e pare succederà sempre più – nelle borse della spesa nostrane. 

Nel dubbio, per garantirci un po’ di sociologia in cucina, apriremo più spesso la porta del freezer e cercheremo, novelli aruspici, di leggere il futuro nei tranci di merluzzo. Perfino loro, nel bene o nel male, parlano di noi. 

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