Di norma cerco di evitare di commentare le campagne del Ministero del Turismo per promuovere l’Italia all’estero. Per qualche ragione, indipendentemente dal colore del governo che esprime il ministro, la comunicazione di quello che (nell’infelice definizione di non so chi) dovrebbe essere il “petrolio d’Italia” riesce sempre a essere l’occasione di imbarazzo a livello nazionale, con pennellate di cringe e secchiate di WTF.
Riavvolgo il nastro dei brutti ricordi ed è tutto un fiorire di memorie di sprechi milionari per Italia.it, di Rutelli che implora “please, visit Italy!” con un inglese da bagnino riccionese negli anni Sessanta ai primi approcci alle turiste tedesche, di “Very Bello” di Franceschini e altre sgradevolezze che mi fanno sempre sorprendere del fatto che qualcuno decida comunque di visitare il nostro paese nonostante queste campagne.
Ora che c’è un governo di sedicenti “patrioti” sovranisti, ma anche una nuova ministra al Turismo forgiata da decenni di Università della vita smeralda, era facile immaginare che ci sarebbe stato un grande sforzo da parte del Governo per comunicare la bellezza del nostro paese ai perfidi stranieri del globo terracqueo, invitandoli a toccare con mano la superiorità delle italiche genti.
E così è stato: pare ci siano oltre 9 milioni di investimento (quasi tutti di budget media: sono cifre da big spender pubblicitario) e c’è il coinvolgimento di una grande e storica agenzia pubblicitaria italiana, che ha concordato col Ministero una campagna intitolata “Open to meraviglia”.
La campagna non è piaciuta a nessuno, anzi ha generato nuove vette di imbarazzo. Forse non è piaciuta nemmeno all’agenzia stessa, visto che non si vedono i credit dei singoli creativi che l’hanno pensata e realizzata (ma magari è un caso).
Sul sito del Ministero fa bella mostra di sé un comunicato stampa che annuncia il lancio della campagna “Open to Meraviglia”, corredato da un video di 2 minuti e mezzo che ne racconta la genesi.
Ecco, il video è il modo perfetto per capire come mai “Open to Meraviglia” fa orrore, indigna, fa mettere le mani nei capelli a tutti, dai colleghi del (sempre meno) rutilante mondo dell’advertising ai commentatori seriali al bar e online.
Guardiamolo, scena dopo scena.
L’INSALATONA DI PAESAGGI
Il primo minuto tutto sommato funziona. C’è un bel concetto di “botte piccola col vino migliore”: l’Italia è un paese sostanzialmente poco esteso, con non tantissimi abitanti, eppure al suo interno c’è una quantità enorme di siti UNESCO di “cose turistiche” bellissime da visitare.
Visivamente c’è una serie di brevi spezzoni e di “dronate” che ritraggono, con un montaggio serrato, un po’ di posti da cartolina in Italia. Non è niente di speciale, ma funziona: l’Italia è, nei posti giusti, bellissima da vedersi (peccato sia abitata).
L’insalatona di spezzoni di paesaggi comprati a relativamente poco sui portali di video stock (speriamo che l’agenzia non li abbia girati ad hoc e venduti come tali, visto quanto sono ordinari) è ormai uno standard pubblicitario. Costa poco, si fa tutta con materiali precucinati e bastano un montatore un po’ sveglio e un copy di medio livello che non abbia paura a dare una pennellata un po’ forte di retorica (qui la trovate nella parte enfatica sugli italiani “con le braccia allargate” per accogliere i turisti, come se la Liguria non esistesse) e il video è pronto.
Ne abbiamo visti a decine durante la pandemia, quando le marche facevano di tutto per ricordarci che esistevano, pieni di messaggi positivi del tipo “ne usciremo migliori”. Sappiamo come ne siamo usciti.
C’è anche una lieve revisione del logo del Ministero, in cui il tricolore si deforma un po’ fino a ricordare, vagamente, una finestra aperta. Un’idea semplice, non male.
Peccato che dopo un minuto tutto crolli. Il video poteva finire lì: l’Italia, col suo paesaggio, coi suoi borghi, con la sua architettura e la sua natura e pure con le sue tradizioni poteva essere raccontata solo così: belle fotografie, bei video, che lasciano al pubblico il piacere di perdersi in qualcosa che nell’hinterland di Amburgo, nelle brume di Colchester o nella tristezza gastronomica del BeNeLux equivale a un sogno pieno di vita, colori, sapori, natura, storia.
C’è qualcosa da aggiungere? Basta l’Italia in purezza e niente altro. E ci dispiace per gli altri (claim che nessuno avrebbe approvato “This is Italy. We’re sorry for you!”).
E invece no. Perché la finestra aperta del logo “chiama” un claim che sottolinei il concetto. E il claim è il nome della campagna: “Open to meraviglia”.
Ora, sul male antico che c’è dietro claim di questo tipo ci sarebbero ore e ore di discorsi da fare, che passano dal modo imbarazzante in cui vengono tradotti/adattati i titoli dei film stranieri alla scarsa diffusione della conoscenza della lingua inglese in Italia.
Mettiamola così: in Italia c’è l’ansia a fare titoli, claim, ecc. in inglese. E se proprio lo si deve usare, meglio affiancargli qualche parola in italiano, altrimenti la gente boh, va in apprensione, ha crisi di iperidrosi, dà di matto.
È così che Brokeback Mountain diventa, da noi, “I segreti di Brokeback Mountain”: il primo titolo al mondo che contiene uno spoiler del film. Ed è così che nascono le campagne ministeriali “Very Bello” e “Open to Meraviglia”.
Un claim così è la fotografia perfetta di un paese in mezzo al guado tra il degrado e la modernità, perennemente alle prese con un “vorrei ma non posso” che è culturalmente pavido e mette anche un po’ tristezza.
L’idea che il sistema turistico nazionale non riesca a parlare al mondo se non coi toni e le espressioni di Dean Martin e della sua “That’s Amore” è deprimente, anche perché Dean Martin era la caricatura grottesca dell’italianità nel mondo.
Il tutto fa ancora più ridere se si pensa che un rappresentante del partito di maggioranza relativa nel governo ha proposto da poche settimane, nel plauso generale dei suoi camerati, una legge che dovrebbe vietare agli enti pubblici di usare parole straniere nelle sue comunicazioni. Insomma abbiamo il miracolo di un claim che è triste e pure non in linea con i valori del committente.
Di fronte a prodigi come questo mi chiedo sempre quali sono i claim scartati, quelli che non ce l’hanno fatta e sono stati bocciati in fase di approvazione. So per esperienza che se ne fanno pagine e pagine e, dopo un paio di bicchieri, sarebbe interessante vederli.
LA VALLE DEL DISAGIO
Il video, sventurato, prosegue: “A questo punto, parlando di ‘meraviglia’ e ‘Italia’, avevamo bisogno di un testimonial all’altezza”. E qui confesso che ho gridato che no, non c’è nessun bisogno di un testimonial all’altezza. Le bellezze turistiche del nostro paese si spiegano benissimo da sole, senza tante menate. Un testimonial rischierebbe di essere divisivo, troppo locale (significativo solo per gli italiani e non per boh, gli islandesi o i canadesi), poco significativo (in che modo un testimonial potrebbe dare più forza e valore, in virtù della sua identità e dei suoi valori, al prodotto-Italia in chiave turistica?).
Qualcuno, purtroppo, dev’essersi fatto queste stesse mie domande e invece di rispondersi “ok, non abbiamo bisogno di un testimonial”, si è sforzato a trovarne uno. E ha deciso di prendere la Venere del Botticelli e trasformarla nella figura che “vende” (il verbo è stato usato dalla ministra Santanchè nelle dichiarazioni alla stampa, unito a un “la pubblicità è l’anima del commercio”, banalità che non sentivo dai tempi della prima media) il Belpaese.
Ora, qui non so se è tutta farina del sacco dell’agenzia di comunicazione o se è colpa del briefing del ministero (propenderei per la seconda ipotesi, mi immagino la ministra che dice “voglio una campagna cool, per i gggiovani, una cosa bella, su Instagram, che parli il linguaggio dei ragazzi di oggi! Maledettissimi piccoli dalmata!”), ma i creativi non si sono fermati qui: hanno pensato bene di prendere la Venere del Botticelli e di “modernizzarla”, cioè calarla fisicamente nei panni di una ragazza dei nostri tempi, aprirle diversi account social, renderla protagonista della campagna vestita da donna del 2023, in qualità fotografica, piazzata in mezzo a vari bei paesaggi italiani di sfondo.
Il risultato è un mostro, anzi un “ircocervo”, cioè quell’animale fantastico che si usa per definire l’unione tra due cose che sono considerate incompatibili, inconciliabili.
Visivamente la Venere è composta da un corpo reale (di una modella fotografica di qualche genere) a cui è stata photoshoppata la testa (dipinta e resa più o meno tridimensionale) della Venere del Botticelli.
Il risultato non è solo non riuscito e grottesco, ma è l’immagine perfetta dell’effetto “uncanny valley”, la “valle del disagio”, cioè quella sensazione perturbante che si prova quando qualcosa di artificiale si avvicina molto, nella sua somiglianza, all’essere umano reale. Fino a quando è un pupazzo antropomorfo ma “distante” da noi, ci risulta accettabile. Nel momento in cui inizia ad assomigliare agli umani, ci fa strano, forse perfino un po’ paura.
Ecco, la Venere col corpo umano reale e la testa dipinta, col suo collo innaturale, con gli occhi un po’ inespressivi, i capelli scarmigliati (cosa che ha molto senso nell’opera di Botticelli, dato che Venere nasce nell’incrocio perfetto tra terra, mare e aria) genera inquietudine. È oggettivamente brutta, è venuta visivamente male (e non poteva che essere così) ma soprattutto è inutile.
Sì, Venere nelle intenzioni dei promotori della campagna dovrebbe essere il simbolo della classicità, anzi della modernizzazione della classicità (e sento ancora gli echi di qualche dirigente del ministero che ripete uno dei mantra più abusati e dannosi degli ultimi anni: “tradizione e innovazione insieme…”): un’Italia orgogliosa delle sue radici classiche, ma protesa al nuovo, pop, al passo coi tempi. E sì, l’immagine genera sicuramente uno strano tipo di dissonanza cognitiva, che attira l’attenzione, quella per cui qualcosa che percepiamo come familiare, come normale, contiene al suo interno un elemento perturbante, un dettaglio “diverso”, che fa strano.
Ma quell’attenzione viene a scapito della percezione della bellezza. E la bellezza è il quid che il ministero vuole vendere al mondo.
Peccato che la Venere del Botticelli sia sicuramente un esempio canonico di bellezza rinascimentale, ma al di là di quello abbia poca, come dire, personalità. Al di là della sua bellezza classica, deturpata dall’uncanny valley, che valori trasmette? Personalmente ne vedo pochi e la legnosità del personaggio e il suo volto non molto espressivo dicono ben poco e danno ben poco di utile alla campagna.
Anzi, sembra quasi che un “Photoshop horror” faccia photobombing di fronte ai bei paesaggi italiani che, dal primo piano, vengono relegati allo sfondo. Una Venere che impalla.
PER *VOI* GIOVANI
C’è un’ossessione evidente, dietro una campagna così. Ed è quella di fare qualcosa di “moderno”: un’ansia che hanno solo i vecchi. E quando i vecchi, con la mentalità, le estetiche, la cultura di decenni precedenti, provano a fare qualcosa di “giovane” di solito generano mostri. Provano ad appropriarsi di temi, culture e linguaggi che non capiscono e finiscono per rendersi ridicoli.
In pubblicità spesso questo fenomeno genera spot in cui la gente si produce in rap imbarazzanti (qualcuno a metà anni Ottanta deve aver detto ai matusa che ai giovani piace il rap e da allora nessuno ha pensato che forse le cose sarebbero cambiate *ancora*) o revival fuori target (le Bangles per uno spot di uno snack dolce per bambini?).
Non vi nascondo che non sono sorpreso che dal ministero del Turismo venga fuori un’estetica in cui si tenta di far sembrare forzosamente giovane qualcosa che è vecchio: l’abuso di filtri ringiovanenti sui profili social della ministra stessa (già moglie ed entusiasta utente di chirurghi estetici) è un indicatore di un pensiero dominante che in qualche modo è tracimato nell’immagine stessa della campagna del suo dicastero.
Personalmente credo che, al contrario della ministra, l’Italia del Turismo dovrebbe portare con dignità i suoi anni, essere fiera di essere vecchia e antica, orgogliosa di venire da lontano e di avere ancora le vestigia del passato che fu.
Siamo quella cosa lì, non abbiamo bisogno di vestire la nonna da trapper o da gothic lolita per renderla più saggia, più interessante, più amabile. Anzi, forse dovremmo portarle il rispetto che merita, lasciando che sia ciò che è, lasciando che il tempo sia testimone di passate grandezze.
Post pieno di “meraviglia”
?
(Curiosità: prova a far pronunciare a un inglese quella parola)
https://www.shutterstock.com/it/image-photo/photo-young-unhappy-unwell-sick-ill-1924373312 ecco gli scatti rubati a @venereitalia23
Non ci salverà nemmeno più la bellezza perché l’ha uccisa questo brutto governo.
Su ‘uncunny valley’ ho volato
per non dire che si mangia una pizza (maddai e il mandolino no?!?)… con tanto di pummarola ‘n coppa (di là da venire)…
sob. e sgrunt.