Circa un mese fa sono stato attaccato online (tanti contro uno, come prevede il loro modus operandi) da migliaia di utenti leghisti, grillini ed espressamente fascisti. Si è trattato del classico shitstorm che, sempre più spesso, impesta i social media in Italia (e che da queste parti non è una novità, visto che amiamo farci volere male e fin dai tempi di Splinder).

La ragione per cui sono stato vittima di una ridda sempre più incattivita di migliaia di insulti sgrammaticati, deliranti e spesso dai toni mafiosi è presto detta: ho fatto un paio di tweet in cui suggerivo alcune pratiche di autodifesa e di lotta contro la nuova maggioranza di italiani razzisti, violenti e sempre più sobillati dai ministri dell’attuale governo.

Proponevo in sostanza due cose semplici.

La prima è creare un punto di riferimento per le vittime di atti di razzismo e di intolleranza in genere, creando un legal team che consenta alle vittime di trovare una sponda legale con cui denunciare gli aggressori alle autorità competenti (buona parte di questi attacchi non vengono denunciati o vengono snobbati dalle forze dell’ordine, che tendono a scoraggiare l’indicazione dell’aggravante razziale) e fornendo supporto psicologico e materiale alle vittime.

La seconda è ancora più semplice e in tanti già la facciamo: colpire economicamente i razzisti e chi li supporta.

Insomma, non dare soldi ai razzisti. E, se possibile, metterli in difficoltà con mezzi legali (per esempio suggerivo una pratica diffusissima: dare una recensione online negativa ai locali in cui ci si è trovati male perché i loro titolari/gestori sono intolleranti, manifestano o diffondono idee razziste, ecc. evidenziando nel testo il loro comportamento).

 

 

Agire politicamente col portafoglio

Il boicottaggio civile e legale delle attività sgradite è una pratica diffusa e assolutamente normale. Per dire, i vegani non danno i loro soldi ai ristoranti che servono carne, gli juventini girano al largo dal bar Sweet di via Filadelfia a Torino (per i non torinesi: è la “casa” degli ultras del Toro), io non frequento i bar col videopoker, le armerie, le pelliccerie e non viaggio in Russia, Turchia, Israele e Cuba. Il tutto per ragioni etiche, politiche, di civiltà o banalmente di gusti.

Ecco, con qualche tweet ragionavo sulla possibilità di unire le “mappe” per non dare i nostri soldi collettivamente alle attività commerciali e professionali riconoscibili come razziste o supporter del razzismo e dei razzisti.

La pratica del boicottaggio economico è una forma nonviolenta di lotta diffusissima, legale e che ha precedenti storici notevoli e perfino patriottici (penso allo “sciopero del fumo” ai danni del monopolio austriaco sui tabacchi nella Milano indipendentista del 1848, oppure il boicottaggio dei mezzi pubblici a Montgomery per favorire la fine della segregazione razziale negli Stati Uniti o il boicottaggio dei prodotti britannici nell’India voluto da Gandhi).

A volte il boicottaggio legale ha espresse finalità di lotta politica attiva. Per esempio fu praticato in opposizione alle leggi e alla retorica antisemita della Germania nazista.

Cosa ha destato scandalo nella mia serie di tweet? Due cause.
La prima è che li ho scritti in modo poco chiaro. Coi limiti di spazio di Twitter e con i ben più gravi limiti di lucidità mia nei primi giorni di vacanza, ho prodotto una serie di due tweet che non si comprendeva fossero in sequenza (benché uno dei due iniziasse con “quindi”), al punto che alle menti maliziose o in malafede e ai duri di comprendonio poteva sembrare che invitassi a boicottare gli elettori leghisti e grillini in quanto tali, cosa peraltro impossibile e piuttosto fantasiosa, visto che il voto in Italia è segreto.

E qui veniamo alla seconda causa: il pubblico.
Succede ogni volta: scrivi qualcosa che rischia di indisporre quell’unico calderone (di cui parliamo dopo) in cui ormai si riconoscono fascisti, leghisti e grillini e, di norma dopo 24/48 ore (credo perché richiamati da opportuni post voluti da una regia centrale sui gruppi dediti alla sobillazione degli adepti), arrivano in massa a insultarti la mamma, la nonna e la zia e a minacciarti le peggio cose.

Anche qui, errore mio: sono su Twitter da quando la gente (non io) parlava di sé in terza persona e dovrei sapere come funziona e di come funzionano le logiche di branco.

Basta non reagire e passano. Qualche volta capita un commento che sembra avere toni più pacati di “ti veniamo a prendere a casa, zecca di merda”, ma non bisogna cadere in tentazione. Dopo un paio di scambi ti mandano a stendere lo stesso alle prime inevitabili loro difficoltà nell’argomentare. Purtroppo in quell’area condivisa tra fascisti, leghisti e grillini non alberga la capacità dialettica e devo ancora capire se questa è una causa di adesione a quel mondo o ne è effetto.

 

Le “argomentazioni” dei nuovi fascisti

Al netto degli insulti, resta il fatto che questo sciame di insultatori presissimi dal loro ruolo esprime collettivamente un paio di argomenti ricorrenti, nascosti tra le invettive, le minacce e i calembour più prevedibili al mondo sul tuo cognome.

Vediamoli, riassumendoli in un paio di affermazioni.

“Sei tu che sei razzista, perché discrimini i razzisti!”

Ecco, hanno in parte ragione: discrimino i razzisti e i fascisti, è vero. Il fatto è che lo fa anche la Costituzione italiana, lo fa la legge italiana lo fa (faceva?) il buonsenso condiviso degli uomini democratici e lo fa l’etica.

Una realtà (un individuo, uno Stato) tollerante e democratica può essere tollerante con chi programmaticamente si propone di essere antidemocratico e intollerante?

È un dibattito complesso che va avanti dal primo dopoguerra, quando nientemeno che Karl Popper si è posto il problema e si è dato una risposta che condivido e che il nostro ordinamento giuridico condivide: no, una realtà tollerante e democratica ha il dovere pratico e morale di combattere contro i nemici della tolleranza e della democrazia.

L’Italia su questo tema non è neutra: oltre alla Costituzione (attraverso la legge Scelba), ha leggi precise (la legge Mancino, la legge Fiano) che considerano criminali alcune forme di pensiero, la loro propaganda, la loro apologia e messa in pratica: il fascismo, il razzismo, ecc.

Insomma, discriminare, isolare, colpire con la legge i razzisti non solo è legale e a favore della legge, ma è una pratica positiva dal punto di vista etico e sana per la società, perché frena retoriche e impulsi pericolosi che potrebbero dividere, creare violenza, colpire gli inermi, ecc.
Insomma, è sano farlo.

E in questo disgraziato 2018 è opportuno, perché credo di non essere il solo ad avere l’impressione che il clima razzista in questo paese stia saltando fuori dalle fogne. Le ragioni per cui questo avviene sono note: parte di questi razzisti sono al potere in questo momento, sono politicamente in crescita e – soprattutto – nella società italiana sono venuti meno gli “anticorpi del buonsenso” che in precedenza se non combattevano apertamente il razzismo e le intolleranze in genere, almeno colpivano questi ultimi con un sano stigma negativo.

Ecco, credo che la società dovrebbe porsi un obiettivo minimo: far tornare socialmente impresentabili le idee razziste. È il primo step per combatterle, ma per prima cosa è necessario renderle brutte agli occhi della gente, ridicole, sintomo di sfiga. Come le pellicce da uomo, avete presente? No? Ecco, tanti anni fa si usavano, ma con loro lo stigma sociale negativo ha funzionato.

 

“Noi non siamo razzisti”

Ho fatto la stupidaggine di andare a dare un’occhiata nei profili dei tanti aggressori su Twitter che si scandalizzavano: “non puoi prendertela con noi elettori, noi non siamo razzisti!”.

Ho scoperto che dentro la quasi totalità dei profili social che sono venuti, scandalizzati, a dire “io non sono razzista” ci sono contenuti razzisti, talvolta razzistissimi.
E ho notato che succede in particolare con chi si identifica come elettore del Movimento 5 Stelle: pensano le stesse cose dell’estrema destra ma si inalberano se glielo si fa notare. Insomma, pretendono di avere le idee della destra estrema e la presunzione di purezza della sinistra. Comoda la vita, eh?

È dura far accettare a una parte rilevante della società il fatto che è diventata intollerante, imbevuta di odio malriposto e portatrice di disvalori distruttivi, divisivi e violenti. E a parte qualche ridicolo fascista vecchia scuola – incluso un personaggio da operetta che ogni volta che nei commenti menzionava Mussolini faceva precedere il suo nome dall’appellativo “Sua Eccellenza” -la reazione è di incredulità. È dura per chi appartiene alla generazione che sicuramente ha visto qualche replica dei Blues Brothers  su Rete 4 realizzare che si è parte dei nazisti dell’Illinois.

 

Ora li riconoscete

Ho cercato di capire, al netto delle centinaia di account fake che si sono manifestati sul mio profilo Twitter, cos’è quella massa di persone che perde ore del proprio tempo a cercare di indagare su chi sono, dove abito, cosa faccio, cercando – a proposito di fascisti e di loro metodi – di farmi paura tanti vs uno e di “boldrinizzarmi” a colpi di minacce, coinvolgimento dei miei familiari e dei miei presunti (e sbagliati) datori di lavoro.
L’idea è capire, gramscianamente, cosa c’è dietro, quali sono le ragioni che “make a good man turn bad”. Non è un ritratto, attenzione, degli elettori del “polpettone” Lega – Movimento 5 Stelle – fascistume, che immagino piuttosto complesso, ma esclusivamente degli aggressori online che orbitano intorno a quell’area politica.

Non ho indicazioni chiarissime, ma vedo qualche pattern ricorrente.

Il primo è che non si tratta di una massa politicamente eterogenea: buona parte degli assalitori online con cui ho avuto a che fare non distingue tra Movimento 5 Stelle, Lega, Casa Pound e altra fascisteria. In gran parte postano entusiasticamente dispacci, fake news e propaganda di tutte le aree. Non solo, ho visto più volte militanti del Movimento 5 Stelle solidarizzare e corrispondere amorosi sensi con gente espressamente fascista, tra un insulto e l’altro alle “zecche”.
Davvero, il mito del “grillino di sinistra” o anche solo del “grillino brava persona arrabbiata” è una panzana a cui è impossibile credere: si sta cementando un’area unica in cui non c’è distinzione tra M5S e Lega, interamente basata sull’odio del diverso e su toni apertamente fascisti. E sta diventando sempre più pericolosa.

La seconda cosa che ho notato è la trasversalità dell’insoddisfazione. È stata una faticaccia ma ho provato a “capire” le persone che venivano ad attaccarmi, cioè a farmi un’idea della loro vita, delle loro aspirazioni, della loro condizione umana e sociale. E ho trovato un fattore comune: tanta insoddisfazione.
Ecco, personalmente adoro l’insoddisfazione: è uno stato d’animo bellissimo, perché è alla base del progresso umano. Sei insoddisfatto? Cambi le cose, cresci, vai altrove, ti migliori, ecc.

In questo caso, però, ho visto quella che definirei “insoddisfazione dei pigri”.
Mi spiego meglio: il profilo sociale che ho visto emergere in modo costante e prevalente tra gli insultatori fascistoidi non è fatto di “ultimi”, di disperati, di famigerati “italiani che non ce la fanno più”. È composto, invece, di uomini (tanti) e donne di media scolarità, con un diploma tecnico e nessuna formazione ulteriore, abitanti in provincia, senza particolari consumi culturali, con lavori dignitosi ma non entusiasmanti o vittime del precariato.

Insomma, l’italiano medio che ha fatto l’ITIS né tra i primi né tra gli ultimi della classe e si è fermato lì, non ha una grande spendibilità sul mondo del lavoro, non ha interessi particolari a parte il calcio e la figa (entrambi da spettatore remoto), non viaggia molto e non lo fa volentieri, abita vicino alla statale che taglia in due un paese anonimo di provincia, ecc. Il ritratto della noia, insomma.

Tutti siamo potenziali “medi”, condannati alla villetta a schiera lungo la statale con il quadro di Audrey Hepburn preso da Ikea o gli angioletti della Thun (sì, ho guardato anche le foto delle loro case e sono in overdose da soprammobili pacchiani) e insoddisfatti del lavoro, della vita di provincia in cui non succede mai niente, un po’ “indietro” rispetto alle novità, non informati o informati male, in generale lontani da tutto. Ci salva l’insoddisfazione, che genera cambiamento.

Per alcuni, però, l’insoddisfazione non è lo stimolo a tentare un riscatto o rompere la mediocrità, ma è ciò che scatena la rabbia e l’odio conseguente verso gli “altri”, quelli che ai loro occhi ce l’hanno fatta.
Ecco, per questa categoria di persone l’avvento del Movimento 5 Stelle significa l’arrivo del momento della rivincita (non il riscatto) verso quelli che sono stati più bravi e più intraprendenti di loro.

Insomma, i “medi” vedono nei grillini l’occasione per affermarsi socialmente, non per merito proprio ma per abbattimento degli “altri”: i “professoroni”, gli “snob”, gli “intellettuali”. Tutte parole che per loro sono un insulto e che invece nella stragrande maggioranza dei casi ritraggono semplicemente persone come loro che non si sono rassegnate ma hanno cercato di migliorarsi e di migliorare le loro condizioni.
Per loro, insomma, la promozione sociale non è frutto di fatica e impegno, ma gli è dovuta e non dipende dal merito. E hanno pure un bel po’ di evidenze a supporto di questo pensiero, se uno come Luigi Di Maio è Ministro del Lavoro o Paola Taverna sottosegretario a non so bene cosa.

È più un sentimento che un dato scientifico, ma ho percepito trasversalmente un pensiero che qualche volta è stato anche verbalizzato: “è finita l’epoca per voi professoroni/buonisti, ora tocca a noi”. Anzi, una signora l’altro giorno in spiaggia ha detto “i colti al potere hanno fallito, ora tocca agli ignoranti!”.
Insomma, la loro idea di “ascensore sociale” consiste nel distruggere i piani superiori al loro, non nel cercare di raggiungerli o addirittura superarli.

 

Dove abbiamo sbagliato

Se c’è un ambito in cui la sinistra ha fallito miseramente è questo: non aver dato alla grande massa dei “medi” la voglia di cambiamento positivo, il desiderio di migliorare socialmente attraverso l’impegno e il lavoro. È un fallimento culturale e “pedagogico” e non materiale, perché in gran parte d’Italia gli strumenti per provare a migliorarsi e conquistare la promozione sociale ci sono e sono accessibili gratuitamente: c’è la scuola pubblica, ci sono i consorzi di formazione permanente, ci sono le operazioni (volute dalla politica, di norma dalla sinistra) di riqualificazione professionale, ecc.
Semplicemente la sinistra ha fallito nel proporre una visione in cui chi studia di più, chi lavora meglio, chi si impegna di più, chi reagisce in modo positivo alla mediocrità ottiene più felicità, più successo sociale, ecc. Insomma, la politica della sinistra non ha lavorato sul desiderio e sul “premio” conseguente all’impegno. Un po’ è anche colpa della realtà: merito e successo (ma “successo” è una parola sbagliata: ci andrebbe una traduzione in italiano del concetto complesso di “fullfillment”) non sempre sono conseguenti, in Italia.
Al suo posto si è imposta la narrazione di chi dice “vai bene così come sei; la tua vita bruttina è colpa di chi, con la scusa di aver studiato e lavorato più e meglio di te, ti ha portato via ciò che ti spetta. Prenditi ciò che ti è stato negato con la menzogna del merito; la colpa della tua insoddisfazione è di chi è sotto di te (cioè i poveri) e di chi è sopra di te nella scala sociale”.

Le nuove destre stanno cercando di far passare l’idea che questo sia il “popolo” e la sinistra sia composta da snob che non vogliono averci a che fare. Non è così.
È che il popolo, anche negli strati più deboli della nostra società, aveva chiaro il valore dello studio, dell’impegno, del lavoro come mezzi di promozione sociale. Ricordate gli operai che facevano sacrifici enormi per far studiare i figli?
Poi forse qualcosa è cambiato, complici credo alcune pedagogie negative berlusconiane che hanno iniziato a corrodere progressivamente il concetto decente, borghese, a modo suo banale di progresso sociale (e pure economico) attraverso lo studio e il miglioramento di sé stessi. Vuoi vivere bene e felice? Studia, migliorati, allarga i tuoi orizzonti, acquisisci sapere, relazioni ed esperienze.
Lo so che sono banalità, ma ho il timore che in Italia abbiano smesso di avere valore.
Il frutto di quella cattiva educazione è qui: una generazione che fa del “non accetto lezioni” il suo motto (fateci caso: è una delle espressioni che Salvini ama dire di più).

 

Quindi?

Quindi non arretriamo di un millimetro, anzi avanziamo. Sono ancora più convito che siano iniziati i tempi bui e sia necessario reagire su due fronti.
Il primo è l’autodifesa, il secondo è un’operazione culturale per far tornare lo stigma negativo verso il razzismo e i razzisti, iniziando a non dare più loro i nostri soldi di liberi consumatori.
Credo serva organizzarsi, stabilire sponde sicure. Ecco due bozze di proposte, realizzabili senza ricorrere al Governo, che sta dall’altra parte, e che invece chiamano in causa il settore privato.

1- Facciamo una rete di “locali antirazzisti”, così come ci sono i locali gay friendly, segnalati su tutte le guide?

2 – Stimoliamo il settore privato a reagire, per esempio creando una carta etica delle imprese, che si impegnano a non fare discriminazioni di nessun tipo e condannano il razzismo in ogni sua forma e la facciamo sottoscrivere alle aziende?

Il secondo è tornare a ragionare politicamente di pedagogia, ma ne parleremo meglio quando riuscirò a finire il mega-ultra-lungo post velleitario e ingenuo su cosa fare per cercare di salvare la sinistra dal suo angolo di irrilevanza. È un po’ come il galeone di Dylan Dog (d’altronde là fuori è pieno di mostri), ma sono ottimista.

Sia chiaro, non è qualcosa che spetta a noi come militanti singoli: è qualcosa che di cui dovrebbero occuparsi la politica civile, le associazioni, i “corpi intermedi”, ecc.
Va bene anche limitare la cosa alla sola sinistra. Se esiste ancora una “base di sinistra” fatta di persone al di là della politica e dei politici (che attualmente stanno litigando tra di loro per capire chi, al prossimo congresso, potrà sedere da leader sul cumulo di macerie della parte progressista del paese e su buona parte dei nostri sogni buoni), forse è il caso che reagisca.

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