“Sono una ragazza sfortunata: i miei genitori erano paranoici e bigotti. Per tutta l’adolescenza ho avuto coprifuoco assurdi, perché i miei temevano che, facendo tardi, finissi per combinare qualcosa di brutto: dovevo rientrare alle 6 di pomeriggio nei giorni di scuola e alla sera nei weekend non potevo fare più tardi delle 10. Risultato: il balordo punk della scuola mi ha messa incinta a 17 anni, in pieno pomeriggio”.
Ho intercettato questo mini-racconto di vita molti anni fa a una festa (non preoccupatevi, per quanto ne so la sventurata col coprifuoco prestissimo ora è un’avvocatessa e mamma felice) e mi sono accorto che è da allora che lo uso come esempio quando mi trovo a discutere di movida e più in generale di stili di vita.
IL PROBLEMA MOVIDA NON E’ UN PROBLEMA
Non ha sorpreso nessuno la notizia che il Comune di Torino ha deciso di ridurre ulteriormente l’orario dei locali aperti la notte in città. Sono anni che il centrosinistra al potere a Palazzo Civico ci prova.
Questa volta pare esserci riuscito, imponendo orari particolarmente punitivi ai locali: chiusura all’una fino a mercoledì e alle 2 da giovedì fino al weekend. Tutti a dormire presto, su!
Le ragioni superficiali dell’accorciamento degli orari sono note: i residenti vogliono dormire, la movida disturba, crea un po’ di problemi di ordine pubblico e, poiché i nottambuli tendono ad ammassarsi tutti negli stessi posti, colpisce solo alcuni quartieri.
La questione movida – mi rifiuto di chiamarla problema – non è una cosa nuova. Ne abbiamo già parlato ai tempi del boom dei Murazzi, poi ai tempi del boom del Quadrilatero Romano e ora ne riparliamo in pieno boom di San Salvario come luogo di ritrovo della vita notturna torinese. Sono più di vent’anni che ne parliamo e mi sto un po’ annoiando a scrivere questo post, perché l’ho già scritto decine di volte in altri frangenti, con altri orari, altri sindaci e sempre la stessa delusione.
La delusione è presto spiegata: mi rendo conto che chi amministra questa città continua a considerare la vita notturna solo un problema di ordine pubblico. E lo fa nonostante più di vent’anni di movida torinese abbiano dimostrato che avere una città viva di notte porta innumerevoli vantaggi.
COM’ERA TORINO QUANDO ANDAVAMO TUTTI A DORMIRE ALLE 9
Facciamo un piccolo esercizio di memoria: vi ricordate com’era il Quadrilatero prima del boom dei tardi anni Novanta? Io sì: era praticamente disabitato, abbandonato a se stesso, buio, pericoloso e in mano ai tossici. E vi ricordate San Salvario, descritta come il peggiore Bronx degli anni Settanta nei servizi politicamente orientati su Lucignolo?
Ma pensiamo ancora più in grande. Ve la ricordate Piazza Vittorio con la ghiaia, le migliaia di auto parcheggiate (con in mezzo i pusher) e, sotto i portici, tutto buio tranne il Caffè Elena e il Flora nei due angoli opposti?
Mi pare evidente che, al prezzo di un po’ di rumore e di traffico, la storia dimostri che in città la movida rivitalizza quartieri e luoghi mezzi morti, riduce (o sposta altrove) lo spaccio, rende le strade sicure di sera e, cosa non banale, fa aumentare il valore degli immobili. E non vi elenco i benefici che la vita notturna ha dal punto di vista culturale ed economico, perché sono evidenti: il divertimento è un’industria e la vita notturna ne è il laboratorio di ricerca & sviluppo.
TUTTI A NANNA PRESTO, PER FAR FELICI NONNO PIERO, IL FANTASMA DEL PCI E LA FIAT
Il fatto che il Comune abbia a cuore in modo esclusivo il sonno sereno di pochi cittadini e non il divertimento e i consumi (culturali e non) di tanti è una piccola ingiustizia: l’Amministrazione deve tutelare tutti, sia chi abita in piena San Salvario e vuole andare a dormire con le galline, sia chi vuole fare l’alba ballando o chiacchierando con gli amici (o sconosciuti o chi diavolo gli pare) in un locale .
Sapete cosa c’è di mezzo, nell’azione unilaterale del Comune all’insegna di “più sonno, meno divertimento”? C’è del moralismo.
E’ un giudizio silenzioso, mai esplicitato e applicato con un po’ di vergogna. C’è dietro il pensiero antico, gretto e conservatore che tutto sommato fare tardi la notte non è bene, anzi forse è un male. E più si fa tardi più si fa male: le ore piccole corrompono l’uomo e la sua morale.
Un pensiero da nonnine reazionarie, sempre pronte ad aggredirti con un golfino, un pensiero da catechisti, da parrocchiani.
Difficile spiegare alla nostra amministrazione comunale – che non abbiamo eletto nel ruolo di preside del liceo o genitore ansioso – che fare tardi non significa per forza fare male e che il tasso di devianza non sale col progredire della notte.
Ed è difficile, ma ci proviamo, spiegarsi perché gli autori di un provvedimento così drastico e così conservatore siano tecnicamente (avverbio dovuto) di (centro)sinistra.
Mi sono dato una spiegazione e coinvolge il sindaco Fassino.
Non lui personalmente, ma la cultura che rappresenta e incarna: la Torino stakanovista, serissima, incapace di gioire, musona, grigia. Un’eredità del PCI più moralista, quello che odiava il corpo, ripudiava il divertimento notturno come svenevole sovrastruttura, bollava come fascista la disco-music, umiliava Pasolini e tutti i non inquadrabili.
Purtroppo è un moralismo duro a morire, perché è socialmente approvato: sotto sotto in questa società fa ancora una figura migliore chi si sveglia presto rispetto a chi si sveglia tardi, chi si ammazza di lavoro rispetto a chi cerca di lavorare e nel mentre coltivarsi come individuo, magari divertendosi, chi riga dritto da mediocre rispetto a chi alterna alti e bassi.
Ecco i danni di un secolo di monocultura Fiat sia dalla parte del padronato, sia da quella degli sfruttati. Non divertirti, pensa a studiare. Non divertirti, pensa (solo) a lavorare. Non divertirti, pensa a militare.
Vi ricordate Torino nei tardi anni Ottanta? (anche prima, immagino, ma sono del 1974) Ecco, quella cultura ha prodotto quello schifo lì: la città spenta per antonomasia. Meno male che sono arrivati gli anni Novanta a riaccenderla.
MIGLIORARE LA MOVIDA, NON COMBATTERLA
Tutte le grandi città hanno una vita notturna, hanno quartieri dedicati alla movida e hanno un’industria del divertimento dopo il tramonto che produce idee, cultura, profitti, talenti e anche una ragionevole dose di problemi. Sfido chiunque a trovarmi un’entità di mercato, dal nightclubbing alla pastorizia, che non porti con sé anche conseguenze spiacevoli o controindicazioni.
A nessuna persona sana di mente e non viziata da moralismi arcaici o pura e semplice stupidità è mai venuto in mente di vietare un mercato, un’attività, una “vita” o regolarla in modo soffocante fino a spegnerla.
Nel resto del mondo si fa così: non si fa la guerra alla causa dei problemi (visto che è anche una grande causa di opportunità e benessere), ma si provano a risolvere le cose che non vanno.
Nello specifico, non si fa la guerra alla movida: si cerca di rendere la movida migliore.
C’è troppo traffico a San Salvario perché la gente si ostina a cercare parcheggio nelle vie strette e invase di gente e di dehors? Il Comune trovi il coraggio di chiudere al traffico dei non residenti la parte più viva del quartiere, faccia i parcheggi sotterranei necessari e il gioco è fatto. Ci siamo già passati ai tempi del Quadrilatero (che è chiuso al traffico di sera e ha i suoi parcheggi sotterranei che funzionano benissimo a prezzi ragionevoli) e il modello funziona senza problemi.
C’è casino? Se il Comune pedonalizza le aree della movida, riduce il rumore generato dal traffico. E soprattutto può far controllare meglio il territorio dalle Forze dell’Ordine. Può perfino responsabilizzare i locali (cosa impossibile se l’Amministrazione è quella che fa chiudere i locali all’una), se c’è un contesto di armonia e non di guerra totale.
Siamo di fronte al solito scenario italiano: pur di non doversi prendere la responsabilità di gestire le cose, il potere preferisce abolirle (perché il coprifuoco così stringente è una condanna a morte per la movida, non è un tentativo di management: diciamoci la verità).
Certo, è una fatica e prevede pure avere a che fare con gli “operatori culturali”, che non sono il massimo della buona volontà e del comprendonio. Ma è una cosa che va fatta, perché non c’è Fassino che tenga: alla gente non passa la voglia di uscire, bere, contarsela, ballare, farsi le canne, divertirsi, fare casino, fare musica, ecc. Anzi, finisce che, in assenza di luoghi dove divertirsi bene, i torinesi iniziano a divertirsi male, ubriacandosi al Valentino (o chissà dove) con l’alcool portato da casa.
CAMBIARE, ADEGUARSI, FARSENE UNA RAGIONE
E poi c’è un fatto naturale: le cose avvengono e la gente, lentamente, si adegua. Funziona così da sempre.
Ricordo che durante i primi giorni del boom della movida al Quadrilatero c’era un residente particolarmente infastidito dal casino che passava la sera a tirare petardi gavettoni sulla gente. Poi, come molte vittime dei cambiamenti (che a volte avvengono e non fanno piacere a tutti), si è adeguato. E ha venduto casa (molto cara, perché nel mentre il valore degli immobili in zona era salito tanto) e si è trasferito altrove.
Un londinese che vuole stare tranquillo non prenderebbe nemmeno in considerazione l’idea di andare a vivere a Camden, così come un abitante di New York col sonno leggero eviterebbe di prendere casa a Williamsburg. Forse è il caso che chi si appresta ad andare a vivere a San Salvario lo capisca. E se vuole stare tranquillo vada altrove.
L’alternativa è fare come Milano, una città così focalizzata sul suo ruolo di capitale del terziario impiegatizio da non avere una vita notturna degna di questo nome. Vogliamo morire di noia come i milanesi, tra locali per il dopolavoro degli impiegati e qualche disco per la bella gente in via d’estinzione dei privè e della bamba?
E’ un bene che le cose cambino, è sano che a Torino la “vita” dopo il tramonto segua percorsi di massa poco prevedibili, faccia liberamente il suo corso e ci sorprenda un po’. E’ segno che là fuori, nonostante il Comune che vuole mandarci tutti a letto dopo Carosello “perché altrimenti la gente pensa male”, nonostante le pessime figure di buona parte degli “operatori culturali” (leggi: birrai) della città, spesso incapaci o non desiderosi di fare realmente business e cultura insieme, nonostante il clima sempre più umido, c’è fermento, c’è movimento, c’è un’inespressa voglia di fare. Ed è una voglia più forte degli assurdi coprifuoco comunali.
*scusate, oggi ho la titolite stupida.
Però – per quanto il traffico sia assolutamente osceno e debba assolutamente essere regolato – non è il traffico che tiene svegli i residenti.
Io mi sarei rotto le scatole dei falsi dilemmi. Ok, prima era un deserto con gli unni. Adesso è un casino invivibile. Quindi? Bisogna davvero scegliere tra queste due “soluzioni”??? Ma chi l’ha detto?
Problema niente affatto da poco. Certo, la movida porta guadagno. Ma anche vandalismo, rumore e atti di maleducazione…
Ma perché le vostre serate finiscono dopo le due? No davvero, a meno che nn vai a ballare cosa ti fermi a fare a parlare in un locale dopo le due? Se vuoi parlare te ne vai a casa, se vuoi rimorchiare devi averlo già fatto. Stare a parlare del più e del meno fino alle 5 nn é salutare, chi lo fa in modo ripetuto é a grande rischio di essere un alcolista, fancazzista, drogato ecc. ditemi, cosa accade dopo le due? Ok, c’è quello che possiamo riassumere in “rilassamento dei sensi” ma ripeto nn é nulla che con un po’ di organizzazione possa essere fatto prima. Invece di uscire alle 11 esci alle 9, il gioco è fatto. Fare presto significa fare male?
Buon post, condivisibile risposta. San Salvario l’ho abbandonato senza rimpianti tre anni fa: il brusio citato da Paolino è effettivamente micidiale e mi pare il meno gestibile tra i problemi citati.
Certo, si può pensare alla movida come fenomeno inarrestabile (alla pari dell’immigrazione diciamo) a cui non ci si può opporre e che svuoterà il quartiere da chi non la può/vuole vivere: però è una scelta socialmente pesantissima. San Salvario SOLO con/per la movida diventerebbe un quartiere molto più “povero”.
Resta il fatto che imporre orari restrittivi da parte del comune è inutile e dannoso.
Effettivamente il commento sopra è condivisibile. A mio modesto parere San Salvario ha subito un mutamento leggermente diverso da quadrilatero e piazza Vittorio, nel senso che i locali si sono sovrapposti allo schifo esistente (ubriaconi, vandali, spacciatori) che ci sguazzano allegramente. Non è infrequente vedere gente che piscia in corso Vittorio, all’angolo con via Goito, ma un po’ ovunque in zona.
Penso anche io che solo qualche provvedimento mirato possa far migliorare il fenomeno, effettivamente insopportabile per i residenti. Pedonalizzarla e renderne l’accesso esclusivo a chi ci vive è la primissima cosa: nel quadrilatero (io abito al limite) ha svoltato la zona. Più polizia e carabinieri a piedi hanno fatto spostare la criminalità in altri posti e l’hanno fatta diventare quel che è adesso.
Per i residenti, mi viene in mente una sola cosa: tenere duro, nell’arco di tre/cinque anni si saranno spostati da qualche altra parte, le case avranno acquisito valore, la zona verrà ripulita e resteranno solo i ristoranti che meritano. Con i piccoli-grandi provvedimenti di cui sopra, diventerà un altro salottino in cui vivere.
Caro Enrico.
Chi ti scrive è uno lavora, che suona e che vive di notte da quasi 40 anni (ora ne ho quasi 54).
Soprattutto che abita in Sansalvario.
Conobbi SS 15 anni fa e mi trasferii da Santa Rita per seguire il mio amore. Era ancora un far west e la via dove abito era impercorribile dopo una certa ora senza rischiare un’aggresione.
Ora non andrei via di qua nemmeno minacciato da un Leopard (un carrarmato).
Sono d’accordo quasi su tutto.
Il quasi è però, a perer mio, importante.
Vero è che ORA chi vuol venire ad abitare qua non può pretendere il silenzio, ma chi c’è sempre stato?
Tu dici che si deve adeguare.
Mah, l’educazione deve essere bilaterale, sennò è abuso o tirannia.
Le vie di SS sono piene di pisciate, di gente che caga in mezzo ai bidoni della nettezza urbana o negi anfratti bui se ne vede ogni notte. Senza contare vomitate, bicchieri lasciati ovunque, ubriachi o strafatti che si menano. Macchine danneggiate, Specchietti divelti a calci….
No, caro Enrico: io mi adeguo se chi viene in casa mia si adegua a quelle che sono le regole, sulle quali tu sorvoli a piè pari dando agli abitanti della zona il compito di adeguarsi.
E lascia stare il “sono ragaaaazziii”.
Lo spaccio: dici che non ce n’è grazie alla movida?
Scusami, ma dove vivi? Secondo te gli spacciatori vanno dove non c’è nessuno o dove trovano facilmente clienti, magari già ubriachetti così da poter meglio e più facilmente vendere e anche rifilare meglio belle sole?
Vedi un’altra cosa che i più ignorano (anche tu, da quello che scrivi) è che il casino più fastidioso, quello che ti toglie davvero il sonno, non lo fa la musica dalle macchine o dai locali, le risse o gli schiamazzi, ma il brusio. Il classico “parolino” fatto davanti al locale genera un ronzio pari a quello di una turbina di jet. Quindi il “fate silenzio” in realtà fa danno.
Torno a dire, da vecchio peccatore e gaudiente ancora in attività, che l’educazione civile deve sempre esserci.
Che la movida è buona cosa per tutti, basta saperla gestire. Ecco il termine: GESTIRE, cosa che non viene fatta dalle teste pensanti che preferiscono la repressione.
Le regole imposte come stanno facendo ora sono sbagliate. Dici bene: sono pagliativi per non agire verso il vero problema (se abitassi qui lo chiameresti anche tu così)
I mezzi per lasciar dormire chi vuole, senza esser costretto a mettere doppi vetri con tendoni da teatro per isolarsi (con l’ausilio di potenti condizionatori d’aria che fanno un casino….), per evitare il vandalismo e sanzionare gli esagitati ce ne sono già a sufficienza. Basta applicare le leggi da sempre esistenti.
Un esempio? Basta vedere cosa successe durante le Olimpiadi invernali: in quei 20 giorni il quartiere era lucido come una teiera di limonge. Spacciatori, tossici, bagasse, delinquenti, vandali, casini… nulla! E non c’era coprifuoco, le notti bianche si susseguivano.
Basterebbe solo un po’ di buona volontà da parte di tutti: e sarebbe “fiesta, forever…all night long” (L.Ritchie).
Ciao
(condividerò articolo e mio post su feisbùk)