Sarò fesso o monomaniacale, ma a me il dibattito su nanopublishing scatenato da Macchianera interessa molto.
Il fatto è che il primo post comparso su Macchianera ha fatto arrabbiare un bel po’ di gente, scatenando la caccia al non-entusiasta.

Sì, perché il problema è proprio questo: c’è una nicchia della Rete che da qualche tempo sta facendo qualche soldino (non tantissimi come ai tempi della New Economy, ma qualcosa) con il nanopublishing, o quantomeno conta di farlo.
Poiché gran parte dell’economia contemporanea si basa sugli annunci – cioè ad un annuncio corrisponde un entusiamo che porta investitori o soldi in advertising – è ovvio che non c’è molto spazio e molta tolleranza per chi si dimostra scettico.

Detto questo, il modo in cui Gianluca Neri ha chiarito la sua posizione rispetto al suo post precedente sul tema mi soddisfa: si è semplicemente limitato a dire che il periodo dei facili entusiasmi è finito e se qualcosa funziona online è perché nasce bene, si fa la gavetta e costruisce il suo successo. La pratica della "botta di culo online" è stata archiviata da metà del 2000 in poi, lo dico da reduce. E a maggior ragione lo dice Neri, che di successi e insuccessi online se ne intende non poco, visto che la New Economy se l’è bevuta tutta fino all’ultima goccia (tra l’altro realizzando l’unico portale che all’epoca visitavo regolarmente).

All’epoca era la regola: fai una startup con obiettivi irrealizzabili, presentali bene e genera entusiasmo in giro, raccatta soldi da gente che ha voglia di investire (all’epoca tutti avevano voglia di investire in qualsiasi cosa contenesse la parola "Web" nel Powerpoint di presentazione) e poi lascia pure che il tutto si riveli un buco nell’acqua, intanto hai fatto la grana per sistemarti una vita.
Insomma, la tecnica del "prendi i soldi e scappa", ovviamente praticata entro i limiti dell’onestà e della legalità, è fuori moda.

Vero anche il fatto che in questo caso non si sta inventando niente di nuovo: il nanopublishing così com’è non è una novità. Alla fine la Rete è piena da tempo di gente che scrive e scribacchia su temi specifici e di settore e magari con questo si mantiene. E questa gente esiste e opera da molto tempo prima dei blog e del nanopublishing.

Ricordo, nel periodo del boom dei portali, la proliferazione di agenzie improvvisate nel riempire di contenuto i singoli canali, spesso con cose copiate qua e là in modo indecente. Ed era tutta gente che faceva comunicazione online di settore, a volte iper-specifica, orientata al business e di fatto organizzata in modo "leggero". A due centimetri dalla definizione di nanopublishing, per capirci.

Non che ci sia nulla di male, ma "nanopublishing" è un’etichetta nuova con cui definire qualcosa che c’è già.
Certo, il fenomeno ora è il relativo successo di siti para-amatoriali che lentamente diventano punti di riferimento online e lentamente iniziano a produrre soldi. Ma direi che il 90% dell’entusiasmo è stato causato dalla vendita milionaria di Weblogs Inc. (forse l’ultima "sboronata" da New Economy fuori tempo massimo, ma al di là di tutto giustificata dal fatto che molti dei blog tematici esistevano prima, magari sotto altre forme, ed avevano una lunga storia di successi alle spalle) e poco più.

Tra l’altro ci sarebbe da chiedersi quali blog tematici in Italia sarebbero degni di assurgere al ruolo di nanopublisher di successo.
Francamente ne vedo pochissimi, contando le "famiglie" di nanopublisher italiani (tipo www.blogo.it) sono sicuramente fatte bene, ma non mi pare stiano spiccando il volo (felicissimo se accadesse, a dire il vero), forse perché la concorrenza dei blog tematici in inglese è troppo forte, forse perché l’impostazione alla base è sbagliata (creare blog tematici e renderli di successo, invece che dare un’ottica business a blog tematci già di successo da tempo).

Se proprio dovessi individuare l’unico blog tematico che davvero mi sembra degno di fare parte di un sistema di nanopublishing, indicherei senza dubbio PepeRosso, per quanto mi riguarda un ottimo esempio di come si fa un blog tematico: ha un tono informale ma autorevole, è aggiornatissimo e informatissimo, sta raccogliendo un gruppo di aficionados e mettendo in relazione gli utenti, dosa perfettamente informazione seria e momenti ludici, è scritto bene e dimostra una notevole credibilità nell’ambito delle cose di cui tratta.

E anche qui, come citava il buon Neri, il tutto non è capitato per caso, tipo "facciamo un nanopublishing e compriamoci la Maserati", ma si è costruito con calma, con la forza dei contenuti, con gli aggiornamenti costanti 7 giorni su 7, ecc.
Insomma, niente "bolla di sapone" che si gonfia ed esplode dopo pochissimo, ma un bel mix di competenza, capacità giornalistica e buon management.

Non ho idea se PepeRosso renda qualcosa ai suoi autori e alla società a cui fa capo (magari è solo un hobby di lusso), ma francamente non vedo di meglio tra i blog tematici. E se fosse (o si apprestasse a diventare) una macchina genera-denaro, ne sarei felicissimo.

Tirando le somme, non sono pessimista sul nanopublishing. Anzi, ho sempre creduto che anche un solo produttore di contenuto online, se sa muoversi e ha talento e dedizione, può creare qualcosa di successo e magari arricchirsi pure. Però divento pessimista se le attività di business sono anteposte a quelle amatoriali.

Cioè credo che nanopublisher di successo si diventi e non lo si possa facilmente nascere.
Quindi – per fare un esempio – se domani apro un blog amatoriale sul curling, lo curo bene e aggrego un pubblico fedele e di area, allora posso evolvere e darmi un’ottica business.

Se, invece, decido di creare un blog tematico sul curling con l’obiettivo immediato di tirarci fuori dei soldi, rischio il flop per mille motivi: mancanza di libertà giornalistica perché bisogna fare raccolta pubblicitaria e non dispiacere gli inserzionisti di settore, propensione alla marchetta, scarsa percezione di indipendenza da parte dei lettori, ecc.
Il tutto mi evocherebbe un discorso lunghissimo sulla reputazione online, su come la si costruisce (e distrugge!) e su come si creino nuove forme locali e transitorie di autorevolezza, ma per tagliare corto sintetizzo la mappazza di considerazioni con una riflessione.

Se fino a qualche anno fa l’autorevolezza di un contenuto online era data dal "marchio" di chi produceva il contenuto o da parametri puramente estetici (es. un sito "serio" con una bella grafica aziendale sembrava più credibile di un sito amatoriale su Geocities), ora le cose sono cambiate, perché perfino l’ultimo dei venditori di loghi porno è in grado di darsi un look professionale e l’ultimo dei para-giornalisti prezzolati dalle imprese può aprire uno spazio online e fare marchette per i suoi clienti, sembrando credibile.

Ciò che distingue i prezzolati, gli incapaci e in generale gli incompetenti da quelli che ci sanno fare è – nell’ambito dei blog tematici – la risposta degli utenti. Se hai un blog tematico amatoriale in cui aggreghi una massa di utenti forte e radicata, vuol dire che sei stato percepito come autorevole ed indipendente, quindi ad un certo punto puoi iniziare a porti il problema di come guadagnare soldi col blog. Teoricamente il tuo pubblico – che ti conosce da tempo – non patirà la tua svolta commerciale, perché in tuo onore parlano anni di attività indipendente.
Ma se nasci da zero come realtà commerciale, è palese che la gente avrà difficoltà a credere alla tua indipendenza, perché alla fine sei uno che è lì per vendere e non per informare.

4 comments

  1. Pensa te. Otto anni dopo (ma assai prima: otto anni dopo è solo il momento in cui scrivo) PepeRosso è morto e i creatori di Blogosfere e Blogo hanno fatto milioni di euro vendendoli.

  2. lo ha fatto, lo ha fatto…

    con risultati straordinari. Qualcuno si ricorda il portale Jumpy?

    Miliardi buttati e un buco nell’acqua clamoroso.
    Riprendetevi le vecchie pagine di “noia portale” su Clarence. Erano bellissime!

  3. purtroppo la linea di confine tra marketta e informazione è sempre più sottile col prolofierare di marche, brand e affini.

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